Jarmusch e le relazioni familiari che attraversano spazi, ambienti e città
Di Margherita Bordino* Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch è un film che lavora in sottrazione: tre storie, tre famiglie, tre città e luoghi che non si limitano a ospitare i personaggi, ma li respirano, li trattengono, li spiegano. Gli spazi non fanno da sfondo: sono un contrappunto emotivo, una mappa visiva in cui la memoria e la distanza diventano architettura. Jarmusch, nell’incipit di ogni episodio, fa “scivolare” i suoi personaggi su skateboard attraverso spazi e tempi che sembrano non avere confini. È un movimento continuo, quasi ludico, che però il rallenty trasforma in un gesto di sospensione. Quel passo rallentato, quell’incontro, quell’inciampo e, a suo modo, quell’invasione di campo, non servono a enfatizzare l’azione, ma a far avvertire il tempo mentre passa, come se ogni traiettoria aprisse una storia e la congelasse per un attimo. Lo skateboard diventa così un modo per attraversare il mondo e, allo stesso tempo, per fermarsi a guardarlo. Osservare la famiglia Ogni capitolo del film — “Father”, “Mother”, “Sister Brother” — sembra osservare la famiglia da un diverso angolo geografico e sentimentale. Prima il Nord-Est degli Stati Uniti, poi Dublino e infine Parigi non sono semplicemente luoghi: sono climi morali, atmosfere, stili di…
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