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Intervista
​​Pappi Corsicato sul restauro di Libera: “Curioso del parere dei giovani”

Ora al cinema il restauro in 4K di Libera, opera prima di Pappi Corsicato. Il regista: “Mi interessa il parere delle nuove generazioni”.

Di Carlo Giuliano*

Pappi Corsicato è un nome abbastanza inedito nel panorama cinematografico nostrano. Originario di Napoli, trasferitosi a New York nel 1980 per studiare danza, coreografia e recitazione, negli anni ha diretto pellicole assolutamente anticonformiste come Il seme della discordia e Il volto di un’altra, oltre la trentina di documentari dedicati ad artisti contemporanei e una serie, Inganno, che nel 2024 è diventata lo show non in lingua inglese più visto su Netflix in tutto il mondo. Nel 1990 è assistente di Pedro Almodóvar durante le riprese di Légami! e quel set sarà d’ispirazione per il corto Libera, base di partenza per il suo primo lungometraggio omonimo. Un film a episodi destinato a diventare un piccolo culto.

Presentato al Festival di Berlino nello stupore generale, in Italia ottiene il Nastro d’Argento e il Ciak d’Oro come Miglior opera prima. Tre episodi che prendono il nome delle loro protagoniste, interpretate ora da Iaia Forte ora da Cristina Donadio: Aurora, Carmela e Libera, il cortometraggio che fa da capitolo conclusivo. Intorno a loro vediamo raccontati amori non corrisposti, storie di tradimento e di affermazione di genere in una Napoli alle porte del ventennio berlusconiano. La Festa del Cinema di Roma, dove il film è stato presentato quest’anno in versione restaurata in 4K, lo descrive come “un gioiello narrativo che reinventa, con stile pop e visionario, il dramma partenopeo, anticipando temi centrali del regista: crisi, identità frammentate, ironia e grottesco, in una Napoli vitale e barocca”.

Incontro Pappi Corsicato a un bar ai confini della zona del festival, alla fine di una giornata di interviste. Riascoltando la registrazione mi accorgo che alla radio danno Heart of Glass dei Blondie. Lui sembra molto interessato alla mia “giovane” età, è curioso di cosa la mia generazione può pensare di questo film. Poi mi chiede se porto il fondotinta, gli rispondo di sì, per essere presentabile, è stata una giornata lunga. Lui è piacevolmente stupito e la cosa, pensando al suo film, stupisce anche me. Forse, è il primo indizio che le cose sono cambiate dai tempi di Libera. Perché siamo più liberi di allora? Non penso. Ma penso che il suo film parli tantissimo alla mia generazione. Se ne cercate riprova, lo trovate già da ora, in questo nuovo restauro, in alcune sale selezionate.

Il restauro e la riscoperta dei vecchi film sta prendendo sempre più piede, ma di solito si tratta di pellicole risalenti a 50 anni fa o ancora più indietro. Da dov’è nata la spinta al restauro di Libera?

È vero quello che dici. È anche vero che, proprio perché c’è sempre più interesse, si ripescano anche film di 30 anni fa. Nel caso specifico di Libera, la spinta è nata perché le ultime versioni del film, anche quelle su DVD, provenivano da una copia molto rovinata. Si era perso il colore grafico, il sonoro era pessimo. Così, iniziando a pensare a un restauro, mi sono messo a cercare la pellicola e ho scoperto che si era quasi perso del tutto il negativo. ‘Na traggedia greca! Così ho coinvolto Lucky Red, Cinecittà e Urban Vision, che hanno curato materialmente il restauro. Grazie a loro (anche a me, devo dire) siamo riusciti a ritrovare la pellicola, il negativo, e presentare il restauro in 4K alla Festa del Cinema di Roma, dove la Direttrice Paola Malanga ci ha gentilmente invitato.

Al restauro hai lavorato sia tu che i due direttori della fotografia, Roberto Meddi e Raffaele Mertes. Dove avete ripescato il negativo?

In origine si trovava a Cinecittà, poi ci sono stati vari spostamenti nel corso degli ultimi 32 anni. Grazie a Dio l’abbiamo ritrovato al Centro Sperimentale.

Libera ottenne vari riconoscimenti fra cui il Nastro d’Argento come Miglior opera prima e il plauso della critica. Ma immagino avesse generato anche un po’ di scalpore o di scandalo, quando uscì nel ‘93?

La verità? Anche io mi immaginavo chissà che scandalo sarebbe stato, perché vedevo i film che uscivano in quel periodo. Sicuramente, solo un distributore ebbe il coraggio di farsi avanti, questo sì. All’epoca era appena nato, non era la grande distribuzione che conosciamo oggi, cioè la Lucky Red di Andrea Occhipinti. Mi viene da pensare che gli altri distributori lo vedessero come un film scandaloso o quantomeno, non del genere che vendeva in quel periodo. Scandaloso, nel senso che era fuori dai canoni. 

Ti ricordi il giorno della première al Festival di Berlino?

Eravamo terrorizzati! Perché all’epoca il pubblico berlinese era rinomato per arrivare a tirare le bottiglie contro lo schermo e le delegazioni sul palco, se il film era brutto. E invece: applauso a scena aperta, standing ovation, una proiezione straordinaria e una meravigliosa accoglienza della stampa. Forse aiutato da questo, quando poi arrivò in Italia piacque molto. Perciò sono molto curioso di vedere come verrà ricevuto oggi. 

Ma oggi, un film come Libera verrebbe anche solo prodotto?

Se lo prendi così com’è e lo proponi a un qualunque produttore, non te lo fa fare. Io ce l’ho fatta perché me lo sono prodotto da solo, con due lire, totalmente incosciente di cosa stessi facendo. Nasceva tutto d’istinto, non c’era nessun preconcetto, costrizione, autocensura. Però a proporre certe scene oggi, la scena di una che scivola sulle scale e si svergina col tacco, mi direbbero: “Ma tu stai fuori di capa, vai a zappare!”. Ma anche l’impostazione delle tre storie, la struttura antologica del film. Penso che oggi non ci scommetterebbe nessuno.

Hai citato la scena del tacco, quella se la ricordano in molti. Possibile non abbia scandalizzato nessuno al tempo?

A dirla tutta, il film diventò un piccolo cult, iniziò a girare per i festival di tutto il mondo e un po’ di scandalo da qualche parte l’ha fatto. E ci puoi credere? Gli unici Paesi in cui, su quella scena, cadeva il gelo in sala, erano Inghilterra e Stati Uniti. Tutto il resto del mondo scoppiava a ridere su quella scena, meno gli anglosassoni.

Io sono più giovane di questo film, ma vedendolo oggi mi ha molto colpito per la sua attualità. Che accoglienza ti aspetti da parte del pubblico più giovane?

È proprio quella, che mi interessa. I vecchi fan lo rivedranno e magari resteranno fan, penso, spero. Però mi interessa soprattutto lo sguardo dei giovani, perché secondo me può essere d’ispirazione se viene colto nel modo giusto. E cioè nel fatto di essere esso stesso un film completamente libero, un invito a essere se stessi in ciò che si crea, senza condizionamenti. Mostrare che si può fare un tipo di cinema diverso, nato dalla più totale incoscienza e spregiudicatezza, ma senza neanche voler essere provocatorio. Non c’era nulla di forzato o studiato a tavolino. Tutto ciò che mi poteva divertire mettere in scena, lo mettevo in scena. Il che è molto difficile oggi. 

Infatti, quando uscì e vista l’accoglienza, poteva diventare un film in grado di fare scuola. Trent’anni dopo, l’ha fatta? Penso al cinema partenopeo dei Manetti Bros.

Effettivamente, loro sono usciti poco dopo di me. Però sai, detto da me… Magari non fece scuola, ma fu sicuramente d’ispirazione per qualcuno. Posso essere sicuro solo di Paolo Sorrentino, che l’ha detto a tutto il mondo, pure quando va in America lo dice. Poi noi siamo amici e questa cosa mi lusinga sempre molto. Però è l’unica testimonianza concreta che abbia. Ha sempre ribadito che per lui fu di grande ispirazione per iniziare a lavorare. Tu pensa che in quegli anni, il film italiano di punta era Mignon è partita di Francesca Archibugi, un’opera prima completamente antitetica rispetto a Libera. Effettivamente, non credo sia un caso che dopo Libera seguì una stagione di film molto più colorati. Che per carità è solo una cosa estetica, non di contenuto.

Però nel tuo film si ritrova una libertà estetica che trasmette quella tematica, l’anticonformismo di certi personaggi. C’era concordanza tra forma e contenuto.

Certo. Però non basta farlo colorato per renderlo sgargiante. Tuttavia alcuni ne rimasero senz’altro colpiti.

Sarà perché stavi anticipando una certa “plastificazione” della società? Non so, ho avuto questa impressione… che sia più attuale oggi di quando uscì. 

L’estetica, le acconciature, il trucco: è tutto tremendamente Anni ‘90. Ma io ho un legame particolare con il film. Quando lo rivedo, mi diverto anche solo al ricordo di certi aneddoti, errori sul set, dietro le quinte.

Ce ne racconti uno?

Sai quando dici: “Ah ti devo raccontare una cosa troppo divertente!”, e poi non ride nessuno? Fanno ridere te perché sono capitati a te, ma raccontato agli altri pare ‘na strunzat’. 

Un’ultima cosa volevo chiederti, sempre da giovane spettatore…

Quanti anni tieni?

Ventisei. Sono cresciuto sotto Berlusconi. E mi pare di ritrovarci una certa mentalità e umanità berlusconiana, però il film esce l’anno prima della vittoria elettorale del ‘94. È stato profetico sotto questo punto di vista?

Era un film che intuiva i tempi che correvano. Viveva degli Anni ‘80, io arrivavo da New York e mi divertiva questa finta “Piccola New York” che stavano costruendo al Centro Direzionale di Napoli. Mi divertiva soprattutto questo contrasto con quella che era Napoli e la cultura napoletana. Intuivo che, anche una volta completato, sarebbe rimasto nient’altro che un dormitorio di lusso. Oppure Scampia, un quartiere nuovo e già sgarrupato, neanche il tempo di nascere che già era distrutto. Due rioni dormitorio, uno apparentemente di lusso e l’altro già degradato. Erano delle realtà nuove e aliene, per me e per Napoli. 

Questo contrasto si vede tantissimo nell’episodio di Aurora, un personaggio che sembra non combaciare: non ha identità, perché vive in un contesto senza identità.

La storia di Aurora è un po’ quella di Madame Verdurin in Proust, un’arricchita che non sa gestire la ricchezza e scade nella cafonaggine. Come nella scena in cui si affaccia dal balcone dell’ultimo piano ma si tiene alla corda della tenda, perché non si è mai abituata alle grandi altezze: sono dettagli che raccontano un’umanità. Oppure la giacca di Ninni Bruschetta che cambia colore a seconda della luce. Magari quei dettagli me li sono inventati io, ma questa è una cosa che non ha epoca: l’inadeguatezza fra ciò che si ha e si è. Ci sarà sempre.

Libera vi aspetta nei cinema in versione restaurata in 4K.

 

*Nato a Roma nel 1999, critico cinematografico e creator passato per web, cartaceo, social media, televisione, radio e podcast. La prima esperienza a 15 anni come membro di giuria per la XII Edizione di Alice nella Città. Dal 2019 si forma presso il mensile cartaceo Scomodo, di cui coordina anche la rete distributiva in tutta Italia. Nel 2022 svolge un master in podcasting presso Chora Media, cicli di lezioni nei licei con il Museo MAXXI ed è il vincitore del Premio CAT per la critica cinematografica. Ha collaborato con le pagine del Goethe-Institut e del Sindacato Pensionati CGIL. Dal 2021 scrive stabilmente per CiakClub, di cui è Caporedattore e principale creator.

 

 

 

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