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Ken Loach
The Old Oak
Abbiamo ancora bisogno dei film di Ken Loach

Il 16 novembre, dopo essere stato presentato al Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane The Old Oak, l’ultimo film di Ken Loach che ci ricorda ancora una volta di quanto abbiamo bisogno dell’autore britannico.

Di Giacomo Lenzi (CiakClub.it)*

A 87 anni compiuti Ken Loach è ancora uno degli autori contemporanei più rilevanti dell’intero panorama cinematografico europeo. E il paradosso è che, con buona probabilità, qualora smettesse di esserlo sarebbe il primo a gioirne. Per Loach fare cinema è una missione. Porre una lente su determinate problematiche, come quella occupazionale. Dare risalto alla lotta di classe e dignità ad individui che se ne vedono privati. Spesso il cinema di Ken Loach viene tacciato di essere “ideologico”. Come se esistessero film che non lo sono o come se l’ideologia potesse emergere esclusivamente da film che trattano determinati argomenti in specifici modi.

Ha recentemente dichiarato che la sua nuova missione è quella di portare speranza. Un obiettivo, sempre secondo lui, che dovrebbe balzare in testa alle agende della politica. Ha deciso di portare avanti questo intento con The Old Oak, presentato al Festival di Cannes e in arrivo nelle sale italiane il 16novembre. L’opera che, stando alle dichiarazioni, dovrebbe essere l’ultima della sua carriera. Un film che però ci ricorda quanto ancora, purtroppo per la realtà in cui viviamo, avremmo un disperato bisogno di Ken Loach.

Fedele a sé stesso

Fedele a me stesso è una splendida raccolta, edita da Minimum Fax, di una serie di interviste che Clint Eastwood ha rilasciato tra il 1971 ed il 2011. Clint Eastwood e Ken Loach, due uomini apparentemente agli estremi per quanto riguarda la storia di vita, la carriera, il dichiarato pensiero politico. Nonostante tutto hanno dei punti in comune, per esempio una visione su molti argomenti meno distante di quanto potrebbe sembrare sulla carta e, soprattutto, un’intima coerenza col loro personale percorso. Ken Loach è da sempre un uomo fedele a sé stesso. Convinto socialista, Loach inizia la sua carriera cinematografica negli anni ’60.

Prima lavorando alla serie The Wednesday Play, con cui di fatto inventa il genere del docu-drama, poi passando alla regia di lungometraggi con l’esordio Poor Cow del 1967. Film dopo film posa il suo sguardo là dove trova delle missioni da compiere, dei problemi da analizzare e su cui posizionare i riflettori. Gli apprezzamenti tardano ad arrivare, cosa che non fanno le accuse di un posizionamento politico fin troppo squilibrato. Il primo grande riconoscimento, il Premio della Giuria del Festival di Cannes per L’agenda nascosta, è del 1990, (non) casualmente dopo la caduta del Muro di Berlino. Poco dopo nel 1993 ne arriva un altro, sempre un Premio della Giuria a Cannes per Piovono Pietre.

L’anno successivo il Leone d’oro alla carriera a Venezia, un riconoscimento che di solito segna un punto di arrivo di una carriera. Ma Ken Loach è intransigente, alieno alle dinamiche dell’ambiente e continua nel suo incessante racconto, sempre fedele a sé stesso. Molti dei suoi film migliori arrivano negli anni successivi: Bread and Roses, Il vento che accarezza l’erba (Palma d’oro a Cannes nel 2006), Il mio amico Eric, La parte degli angeli (Premio della Giuria a Cannes nel 2012), Io, Daniel Blake (altra Palma d’oro a Cannes nel 2016). Una filmografia che è una linea retta sui problemi di una società in costante mutamento nel corso di cinquant’anni.

The Old Oak

L’ultimo film della carriera di Ken Loach è ambientato in un piccolo villaggio del nord dell’Inghilterra. Una zona ormai spopolata, in cui gli appartamenti vengono acquistati a un prezzo irrisorio da grandi holding straniere, disinteressate ad aver un qualunque contatto con la gente del luogo. Le comprano senza neanche venirle a vedere, con l’unico obiettivo di affittarle ai primi che capita o costruirci altro. In questo villaggio è situato l’Old Oak, il pub storico della zona gestito da TJ a cui ormai son rimasti pochi clienti. La quotidianità viene scossa dall’arrivo di un pullman di profughi siriani. La gente del luogo li accoglie, quando va bene, con freddezza. Molti mostrano subito un forte ateggiamento xenofobo.

Eppure col passare del tempo iniziano ad integrarsi. Soprattutto Yara che lega in particolare con TJ. L’uomo si interessa sempre di più alle vicende dei profughi finché non decide di riaprire una parte del suo locale. La stessa in cui un tempo durante gli scioperi dei minatori si rimaneva tutti insieme a mangiare. TJ insieme Laura, a Yara, ad altri siriani e a tutti i volontari decide di ricominciare a organizzare pranzi gratuiti per chiunque ne faccia richiesta. Un’attività mal vista da una parte di popolazione del villaggio, pronta a intervenire per interrompere quello che secondo loro è il passo finale verso il declino della loro comunità.

Speranza e solidarietà come forma di resistenza

Ken Loach con The Old Oak, come sempre d’altronde, non fa misteri. Prosegue con la sua missione e ci parla di una storia magari piccola ma che chiude dentro di sé tutto il pensiero del suo autore. Il caso di profughi che arrivano all’interno di una comunità e vengono accolti con grande fatica non è certo nuovo e, visto come si stanno muovendo le cose in questo oscuro luogo chiamato mondo, l’esodo dei siriani non sarà l’ultimo. Eppure non si tratta di un film strettamente legato all’attualità. Loach collega con pochi e semplici dettagli la vicenda a tutto lo storico della lotta di classe.

In quella sala un tempo c’erano i minatori in protesta, oggi una comunità allo stremo delle forze e dei profughi in fuga da una guerra. Stare insieme, mangiare un piatto caldo in compagnia, fare fronte comune, sembrano gli unici palliativi di una catastrofe sociale che non pare avere fine. La solidarietà reciproca e il dolce tepore della speranza come unica forma di resistenza possibile. L’ancora a cui appigliarsi, affinché questo mondo non ci renda cattivi. Ken Loach decide di salutarci con un messaggio positivo in uno scenario in cui dovrebbe predominare l’amarezza. Un modo di fare cinema che non ha eredi ma di cui, oggi ancor più di cinquant’anni fa, avremmo un disperato bisogno.

*Nato a Bologna nel 1994, Giacomo Lenzi è il co-host di Super Otto, il podcast di CiakClub, critico cinematografico per CinemaSerieTv.it e collaboratore di NSS Magazine e Screenworld.it. Si è laureato nel 2019 in Relazioni Internazionali alla Cesare Alfieri di Firenze. Dal 2017 al 2022 è stato il caporedattore di Ciakclub.it. Dal 2017 è inoltre tra gli organizzatori del Festival del Cinema di Porretta e membro del direttivo dell’Associazione Porretta Cinema.
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