Piccoli eventi, enormi conseguenze: in questi cinque film, l’equilibrio familiare va in pezzi. L’ultimo è “Lo schiaffo”, in uscita al cinema.
La famiglia è un ecosistema complesso, fragile, precario. Molto più di quanto l’impronta cattolico-borghese ci abbia portato a credere. Perché alla base di tante famiglie c’è un vizio di forma: l’assunto che, nel momento in cui un individuo entra a far parte o costruisce con altri individui un microcosmo familiare, lasci fuori dalla porta le sue meschinità. Il più delle volte invece, il senso di costrizione che ne deriva finisce solo per esasperare gli attriti e in questo, il cinema non ha mai mancato di mettere in crisi le ipocrisie della famiglia borghese.
Il caso più recente è Lo schiaffo, film tedesco diretto da Frédéric Hambalek, presentato in concorso all’ultimo Festival di Berlino e ora in uscita al cinema dal 27 novembre. È quello che oggi si chiamerebbe high concept: un film che parte da una cosa piccola, un fatto scatenante di proporzioni ridotte, che porta a interrogarsi su tutta la tenuta di un sistema. Un’adolescente riceve uno schiaffo dalla sua migliore amica e da quel momento, la protagonista sviluppa il potere telepatico di spiare (volente o nolente) tutto ciò che fanno i suoi genitori quando nessuno li vede.
Questo scenario, di una famiglia messa in crisi da un evento di modeste proporzioni, è stato portato in scena da diversi film. Ecco alcuni dei più interessanti apparsi nel panorama recente.
Tratto dalla pièce teatrale di Yasmina Reza – Il Dio del massacro, che questo film ricalca praticamente battuta per battuta, cambiando solo nomi e riferimenti per ricollocarlo dalla Francia a un elegante appartamento di New York – Carnage è sicuramente una delle migliori pellicole dell’ultimo Polański, merito anche di un quartetto di attori in stato di grazia: Kate Winslet e Christoph Waltz, Jodie Foster e John C. Really. I quattro interpretano rispettivamente i Cowan e i Longstreet, due coppie che si incontrano a casa dei Longstreet dopo che i figli hanno fatto a botte ai giardinetti, e il figlio degli uni ha rotto un dente a quello degli altri con un bastone. Sono lì per risolvere la questione “da adulti”, ma un litigio fra ragazzini diventa la miccia scatenante che smaschererà tutte le isterie di questi quattro alto-borghesi che fanno a gara di moralità. Anche il più cinico di loro, quell’incredibile personaggio che è l’Alan Cowan di Waltz, finirà per rivelare il suo tallone d’Achille. Una commedia nera sugli adulti, più infantili dei loro figli.

Prima di diventare uno dei pochi cineasti ad aver ottenuto due Palme d’Oro a Cannes – prima per The Square e poi per Triangle of Sadness – Ruben Östlund dirige una commedia nera che, se vogliamo, appare ben più feroce dei ferocissimi lavori successivi. Forse perché non si è mai così feroci come quando si mette in crisi la perfetta famiglia borghese, e perché qui l’evento scatenante è tanto più infinitesimale, quanto irreversibili le ricadute. Una famiglia di quattro in vacanza sugli scii assiste al crollo di una valanga dalla terrazza del loro hotel, ma troppo impegnato a filmare la cosa e convinto di essere al sicuro, il marito non si accorge che la valanga sta per investirli. Invece di salvare moglie e figli, fugge ma non prima di aver recuperato il telefono e i guanti da scii. Da quel momento, le cose non saranno più le stesse e ad aggravare il tutto, oltre al gesto, ci si mette la sfiducia nelle reciproche versioni. La paura e la codardia, quel fattore umano che neanche la famiglia più coesa potrà sopprimere, sono la forza maggiore e trainante di questa commedia gelida in cui, anche quando si ripara al danno, per cancellare la beffa è già troppo tardi.

Titolo di Lucky Red presentato al Festival di Cannes solo l’anno scorso e distribuito a febbraio 2025, Il seme del fico sacro non è un film che nasce per mettere in crisi la famiglia borghese. Principalmente perché qui l’ecosistema familiare viene usato dal regista dissidente Mohammad Rasoulof come metafora dell’attuale situazione in Iran. Ma quella che vediamo rappresentata può essere considerata a tutti gli effetti una famiglia borghese, anche se non secondo il canone occidentale. Il pater familias è un boia del regime, appena nominato giudice istruttore nel pieno delle rivolte di Donna Vita Libertà. In virtù della nomina riceve una pistola per autodifesa, ma la pistola sparisce e Iman si convince che la responsabile sia in famiglia. Che il nemico, come inculca la propaganda della Repubblica Islamica, sia in mezzo a noi. Per non incorrere in conseguenze penali, Iman è disposto a tutto, persino a segregare e interrogare la sua famiglia come farebbe con i suoi detenuti, pur di arrivare a capo della verità. Una denuncia al regime girata in clandestinità e resa in chiave thriller da Mohammad Rasoulof che, come ha ben capito anche Jafar Panahi con la Palma d’Oro attualmente nelle sale (Un semplice incidente), usa il genere per meglio raggiungere il pubblico occidentale.

In un certo senso, Jay Roach si dilettava di commedie nere a sfondo familiare ben prima di riportare al cinema il soggetto nato dal romanzo di Warren Adler. Suo è infatti il primo capitolo di Ti presento i miei, fortunata saga che il prossimo anno toccherà quota quarto film. Ma se scegliamo questo secondo, recentissimo adattamento rispetto al cult del 1989 diretto da Danny DeVito, è per il modo in cui Jay Roach e lo sceneggiatore Tony McNamara (lo stesso di Povere creature!) mettono in crisi la famiglia Roses a partire da un evento al contempo fortuito e sfortunato, a seconda del coniuge. Benedict Cumberbatch interpreta un architetto di fama internazionale, Olivia Colman la moglie che ha rinunciato a diventare una grande chef per occuparsi dei figli. Ma quando una tempesta distrugge l’ultimo progetto di lui, appena inaugurato, e lancia il ristorante di granchi di lei, appena inaugurato, i ruoli si invertono. E quella famiglia tanto moderna e decostruita rispetto alle strutture patriarcali, si vedrà mandata in pezzi fin nelle sue fondamenta. Un brillante riadattamento che non è secondo all’originale americano, perché si reinventa nell’umorismo british di questi due incredibili interpreti che sono Cumberbatch e Colman soprattutto.

Quali sono le conseguenze di uno schiaffo all’interno di una famiglia? Il primo schiaffo ricevuto nell’adolescenza da un genitore è un evento “traumatico” affrontato in molteplici scene, nel cinema. Ma in questo film, la giovane Marielle, lo schiaffo, lo riceve dalla sua migliore amica, durante un litigio di nessuna importanza. Ciò che è importante è il dopo: da quel momento, Marielle è costretta (e non semplicemente può scegliere, qui sta tutta la differenza) a vedere e sentire tutto ciò che fanno sua madre e suo padre lontano dalle dissimulazioni messe in scena per il quieto vivere familiare. La madre che credeva devota flirta in realtà con un suo collega, il padre che credeva inamovibile viene costantemente messo in discussione a lavoro. Crollano i miti, e peggio ancora quei miti reagiscono come un Iman: vanno in paranoia, trattano la figlia come fosse una spia della Stasi. Quella di Frédéric Hambalek è una metafora sulla pubertà e il terremoto che può rappresentare nella vita di genitori e figli, che unisce il realismo del cinema tedesco a un tocco di soprannaturale. Un ritratto, molto più umano che impietoso, dei piccoli e grandi segreti che tengono in piedi lo strano mondo degli adulti. E che forse, proprio per questo, è bene rimangano tali. Ne va della tenuta del micro e macrocosmo borghese, del mondo piccolo che è la famiglia rispetto alla più vasta società.

Per questo, Lo schiaffo è un film adatto a tutti: adulti e adolescenti, genitori e figli, bugiardi e santi. Vi aspetta al cinema dal 27 novembre.