Guest Post
Intervista
“We Live in Time celebra la vita”: intervista al regista John Crowley

Dal 6 febbraio al cinema, We Live in Time – Tutto il tempo che abbiamo offre uno sguardo inedito e potente sul tema della vita e dell’amore.

Di Carlo Giuliano*

Come trascorrerai il resto della tua vita?”. Questa la grande domanda dietro We Live in Time – Tutto il tempo che abbiamo, in uscita al cinema dal 6 febbraio, dal regista John Crowley (Brooklyn) e con due bravissimo Florence Pugh e Andrew Garfield, che hanno dimostrato una chimica pazzesca nell’interpretare su schermo l’affiatata coppia protagonista. 

Almut (Pugh) e Tobias (Garfield) si incontrano nella più assurda e romantica delle situazioni, una di quelle che raccontereste ai vostri figli: “Mi ha investito con la macchina”. Lui lavora per un’azienda di barrette energetiche, con alle spalle un matrimonio arrivato ormai alla fine. Lei è un’aspirante chef stellata che lo invita nel suo ristorante dopo averlo soccorso, per scusarsi. Da lì inizierà una bellissima storia d’amore, fatta di alti e bassi, come tutte le storie d’amore d’altronde.

Ma l’aspetto assolutamente inedito di We Live in Time, è che il momento più difficile di tutti, per Almut e Tobias, ci viene presentato fin dall’inizio, nelle primissime scene, a relazione già avanzata. Da qui, John Crowley muove per raccontarci la loro storia secondo una progressione atemporale, che attraverso continui salti fra passato e futuro ricostruire l’amore fra i due come in un grande puzzle, in cui ogni istante vede riaffermata la sua importanza.

Sottraendoli a una visione classica e lineare del tempo, John Crowley riconsegna Almut e Tobias a una dimensione eterna, ciclica, imperitura del tempo. In un certo senso, immortale. Un escamotage per dirci che c’è ciò che conta è il “qui e ora”, che la vita è imprevedibile, che ogni istante coesiste rispetto all’altro e che nulla potrà cancellare quel cammino più ampio che vanno a comporre, che poi è la vita stessa. 

Abbiamo parlato di questo e di molti altri aspetti direttamente con il regista John Crowley.

In un film così la scelta dei protagonisti era fondamentale, affinché trovassero la giusta chimica. Quando e perché hai capito dovessero essere Florence Pugh e Andrew Garfield?

Nel caso di Andrew, molto presto, già da quando lavoravo alla sceneggiatura, perché le caratteristiche di Tobias ricalcavano alla perfezione tutti i punti caldi di Andrew. Lui ha dalla sua un’incredibile gradiente di emozioni, è un attore estremamente sofisticato, ha un modo di restituire quelle emozioni estremamente lieve e delicato. Questo crea una nuova immagine di protagonista maschile, un maschio a suo agio con le proprie emozioni e che non si sente minacciato da una relazione con un partner di successo. Anzi, è estremamente felice di stare con una donna così ambiziosa e di successo. Poi sentivo che Andrew ha un rapporto molto particolare con la gestione del dolore e il modo in cui lo restituisce su schermo, ha una grande consapevolezza di sé e di ciò che gli accade nella vita. L’ha vissuto con sua madre, è un’emozione che conosce e che è rimasta preponderante in lui. Ho pensato che fosse per lui l’occasione per elaborare la cosa dal punto di vista creativo, per il tipo di attore che è, che fa della sua vita e della sua consapevolezza una ricchezza anche su schermo. 

Ricordo, ne parlò nel 2021 al Late Show di Stephen Colbert e da allora ha continuato a sensibilizzare nelle interviste. E sempre in modo estremamente consapevole. E Florence Pugh?

Non la conoscevo, non le avevo mai parlato, ma ovviamente pensavo già fosse una grandissima attrice, che aveva alle spalle una lunga serie di personaggi femminili forti ma al contempo complessi, non bidimensionali. Anche lei ha questa gamma emotivo che le permette di restituire la forza del personaggio e subito dopo mostrarsi estremamente vulnerabile. Qualcuno di forte che vede il terreno franarle sotto i piedi e non ha paura di mostrarlo, serviva questo per il personaggio di Almut. Ma la prima volta che la contattai non era disponibile, doveva girare un film della Marvel. Tre settimane dopo eravamo sul punto di chiamare qualcun altro, ci dispiaceva enormemente ma dovevamo andare avanti, e la mia casting director ebbe l’idea di fare un ultimo tentativo. E quella stessa mattina la sua agente ci ha detto: “Non ci crederete mai, le riprese per il film Marvel sono state posticipate di otto settimane”. Che era esattamente il tempo che serviva a noi per le riprese di We Live in Time. E ti assicuro, non succede mai: una fortuna del genere accade una volta nella vita, questo rimarrà come il mio unico gettone fortuna. E così l’abbiamo incontrata, lei ha letto la sceneggiatura e l’ha amata fin da subito. L’ha affrontata da subito senza paura, impavida come sa essere lei. Ma lì sorgeva la domanda: funzioneranno insieme sullo schermo, si piaceranno? Una volta hanno presentato insieme sul palco degli Oscar. 

Nel 2023, certo! Presentarono i vincitori per la Miglior Sceneggiatura Originale e Non Originale. Ricordo che il web andò in visibilio vedendoli insieme, ovunque si trovavano commenti di persone che li volevano insieme in un film romantico.

Esatto, ma non sapevamo se si potesse trasformare quella chimica che avevamo visto in una chimica su schermo. Così abbiamo fatto due settimane di prove, e fin dall’inizio è apparso chiaro che sarebbero stati eccezionalmente bravi insieme. 

L’altra grande forza di questa storia d’amore, per me, sta in come affronta il tema della “fine”. La storia dei protagonisti non è ridotta al suo epilogo. È un film che celebra la vita sopra ogni cosa. Quanto era importante che arrivasse questo? E quanto è stato difficile conseguirlo?

Era cruciale, come hai giustamente notato. Mi è sembrato centrale per il senso che volevo dare. Il film dà per scontato che la fine è dietro l’angolo. Per quanto scioccante è qualcosa che ricorre regolarmente nelle nostre vite o in quelle di chi ci circonda, succede ogni giorno. Appunto, è un fatto. Ma per quanto drammatico sia per coloro cui capita, non cancella tutto il resto. Il film guarda al modo in cui due persone, che hanno una relazione molto felice e spensierata, possano affrontare cosa significhi avere meno tempo a disposizione. E come si possa creare una vita altrettanto significativa in quel tempo ridotto che si ha a disposizione. All’inizio Almut e Tobias si danno risposte leggermente diverse, prima di arrivare a una realizzazione comune. Quindi alla resa dei conti è un film sulla vita, che celebra l’amore al di là delle battute d’arresto. Ovviamente era importante rispettare il tema, cogliere dettagli e ricadute, ma al fine di restituirli con tutta la delicatezza possibile. Non credo che lo spettatore abbia bisogno di sapere tutto. Lo scopo del film è raccontare tutta la vita che c’è intorno. 

Il tempo assume un valore cruciale in questo. La struttura stessa del film, il fatto che veniamo a conoscenza della “notizia” fin dall’inizio e poi saltiamo costantemente da un momento della vita all’altro, proprio quelli che contano di più. Era questo l’obiettivo? Concentrarsi sui momenti che tendiamo a scordare, quando l’imprevedibile si mette in mezzo? 

Magari non quelli che tendiamo a scordare, ma sicuramente i momenti chiave di tutta una vita. I momenti negativi non sono gli unici né i principali di questi momenti chiave. Costruendo tre linee temporali principali, abbiamo raccontato tutta la storia all’inverso, affinché potessimo ripercorrere tutti i momenti cruciali che costellano un matrimonio. Questo produce un continuo cambio di tono, che è il modo in cui si costruisce il ritratto di una vita all’interno del tempo, come un chiaroscuro di sfumature emotive, non semplicemente di ricordi vividi. Ricordiamo attraverso sprazzi di emozioni, che ci riportano a galla frammenti di ricordi. 

Hai parlato della chimica nella coppia, ma io ci ho visto anche il contrasto. Andrew è un attore che sorride in faccia alle avversità, Florence le affronta di petto. Era nel tuo intento insistere su questo contrasto, questo yin e yang?

In parte. Va detto, e forse potrà sembrare un paradosso rispetto a quanto spiegavo prima, che entrambi sono perfettamente in grado di ricreare personaggi molto distanti da loro, perché appunto, sono due grandi attori. Guardavano ad Almut e Tobias come due persone al contempo simili e distanti mille miglia da loro. Ma proprio la sincerità con cui hanno dato loro vita, ce li fa sembrare così vicini ai loro personaggi, come se fossero stati ritagliati loro addosso. Per quanto riguarda Tobias, credo tu ti riferisca a quel tipo di atteggiamento solare,  che è tipico del modello del “Weetabix Man”, del venditore imbonitore. E sarebbe stato molto facile per Andrew sovra-interpretare quell’aspetto, diventare frivolo o stupido. Sarebbe stato anche divertente, presentarlo come qualcuno che ormai sa tutto della vita, che dice: “Sono insoddisfatto del mio attuale matrimonio, ma questo è tutto ciò che otterrò dalla vita”. E invece eccolo lì, investito da Almut, con una nuova vita che lo centra in pieno e gli dice: “Eccolo, il resto della tua vita, è ancora tutto da scoprire”. È un momento di predestinazione, che ha il sapore del destino. Florence invece ama cucinare, anche nella vita reale. E questo per coincidenza le ha permesso di vestire i panni di una chef stellato senza ricalcare il cliché di qualcuno che urla in cucina. Anche lei non ha sovra-interpretato quell’aspetto, cosa che poteva facilmente succedere. Entrambi hanno restituito quella gamma di realismo necessaria.

Parlando proprio del contesto culinario. Gli ultimi prodotti sul tema ci hanno raccontato che è un mondo molto competitivo. E pensando alla vicenda di Almut, è anche una professione che spinge a voler controllare ogni cosa, anche quando le cose sfuggono al tuo controllo. L’hai scelta per questo? Poteva essere un altro mestiere, per dire? 

Ottima domanda. In fase di sceneggiatura non abbiamo mai considerato un altro lavoro per Almut. Quello della cucina è un elemento interessante perché ha a che fare con l’allevare, col prendersi cura degli altri. La competizione è qualcosa che subentra solo in un secondo momento, ma alla radice di tutto, cucinare è rompere due uova da preparare a qualcuno che ami. È semplice, così come appare. Ma ora che lo tiri fuori, l’elemento del controllo è sicuramente interessante. Entrambi i personaggi affrontano la realtà credendo, almeno inizialmente, di poterla controllare, di fare in modo che tutto vada per il verso giusto. Almut attraverso questa forma estrema di espressione di sé, di quanto sia brillante. Tobias attraverso le sue liste, il cronometro che porta sempre con sé, il prendere costantemente appunti: questo è il suo modo di ordinare la realtà, proprio come un “Weetabix Man”, un data manager. Ma per quanto loro tentino di controllare tutto, la vita sfugge al nostro controllo, ha altri piani, imprevedibili. E infatti nel film ci sono molte scene in cui i protagonisti arrivano a questa consapevolezza e ne traggono il bello che c’è. Almut vuole partecipare a una competizione culinaria, e in pratica ce la fa, il piatto è buonissimo, tutto è impiattato alla perfezione. Ma proprio in quel momento, qualcosa scatta dentro di lei. Magari ha vinto, magari no. Ma lei realizza questo: “Ce l’ho fatta, ho fatto quello che volevo, ma ora voglio solo stare con voi”. È lei che riconosce a se stessa il suo valore, ciò che era importante per lei, non sarà un premio a farlo e non aveva partecipato per quello. Quindi sì, è sicuramente un elemento. 

Un aspetto laterale, forse non è neanche una domanda, ma ho amato il modo in cui hai dato altrettanta importanza alla rappresentazione dei comprimari. Per esempio, il personaggio di Jade: correggimi se sbaglio, ma sembra essere non binario. 

Precisamente.

Ma non è argomento di discussione. Voglio dire, non ti interessa, non è importante che sia “lei” o “lui” né lo capisci entro la fine del film. Ecco, credi che debba nascere un nuovo modo, nel cinema, di guardare a questi temi? Dopo averne riaffermata l’importanza, la fase successiva è normalizzarli? Dire: sono personaggi, il genere non sarà l’aspetto fondamentale a determinarli, se non è su quello che si concentra il film.

Assolutamente. In questo caso è nato molto naturalmente. Quando scegliemmo Lee Braithwaite per interpretare Jade, venne da noi e disse: “C’è qualche ragione per cui il mio personaggio non possa essere non-binario?”. E io risposi: “Certo che no, va benissimo, è uguale”. È una minuscola differenza che non fa nessuna differenza. Quindi certo, credo che sia la direzione giusta per una normalizzazione futura. Per me il senso di questo film, e il senso del cinema più in generale, è il suo profondo umanesimo, il suo abbracciare la complessità, piuttosto che categorizzarla, delimitarla, affibbiarle un’etichetta. Sono stato molto felice che mi abbia dato questa occasione.

Torno al significato del titolo, spero che la domanda non sia retorica. We Live in Time per me significa: “Non importa quando finirà, l’importante è che l’abbiamo vissuto”. La vita può allontanarci, ma tutti noi rimarremo connessi in un unico legame, un percorso fatto di ricordi che nulla potrà cancellare. Cosa significa per te?

Hai colto alla perfezione. Non è nulla di metafisico, il film non ha chissà quale significato sofisticato. Dice semplicemente quello che hanno detto in molti prima di me: essenzialmente, carpe diem, cogli l’attimo. Gli esseri umani hanno un rapporto molto buffo col tempo. Ciascuno di noi percepisce il tempo in modo del tutto diverso. Ogni giorno ci capitano cose che fissiamo nel presente e non ci rendiamo conto che non c’è un “presente”, che al contempo appartengono a un percorso di vita in cui ogni istante coesiste rispetto all’altro. Ma da questo deriva la conseguenza opposta, che abbiamo un tempo limitato in questa vita. Anche a noi due, sia a te che a me, prenderebbe un collasso se ci fermassimo a pensare che i minuti che stiamo vivendo in questo momento li stiamo togliendo a una quantità limitata che ci è concessa. Sbaglieremmo a farlo. Se sei qualcuno che pensa sempre al futuro, che fa piani, vuoi aprire un ristorante e hai ambizioni, ricordati sempre che la vita da un momento all’altro può darti una pacca sulla spalla e dirti: “Hai sei mesi”. E non ci deve spaventare, che siano sei mesi o trent’anni la domanda rimane sempre la stessa: qual è il modo migliore di trascorrerli? La domanda è sempre la stessa, ma la risposta sempre diversa. Non c’è una risposta giusta. Anche se ho il sospetto che quella che il film offre sia la stessa che si darebbe la maggior parte di noi: “Vorrei trascorrerlo con le persone che amo”. È una vita ben spesa.

Grazie per questi minuti. Per me, sono stati ben spesi.

E se vorrete passare due ore ben spese, andate a vedere We Live in Time – Tutto il tempo che abbiamo, dal 6 febbraio al cinema.

 

 

*Nato a Roma nel 1999, critico cinematografico e creator passato per web, cartaceo, social media, televisione, radio e podcast. La prima esperienza a 15 anni come membro di giuria per la XII Edizione di Alice nella Città. Dal 2019 si forma presso il mensile cartaceo Scomodo, di cui coordina anche la rete distributiva in tutta Italia. Nel 2022 svolge un master in podcasting presso Chora Media, cicli di lezioni nei licei con il Museo MAXXI ed è il vincitore del Premio CAT per la critica cinematografica. Ha collaborato con le pagine del Goethe-Institut e del Sindacato Pensionati CGIL. Dal 2021 scrive stabilmente per CiakClub, di cui è Caporedattore e principale creator.
Potrebbe interessarti


Il Film

Un incontro fortuito cambia le vite di Almut (Florence Pugh), una chef in ascesa, e Tobias (Andrew Garfield), appena uscito da una storia travagliata. Attraverso istantanee della loro vita insieme – innamorarsi perdutamente, costruire una casa, diventare una famiglia – emerge una verità che mette a dura prova la loro storia d’amore. Mentre intraprendono un percorso scandito dalla dittatura del…

Maternal di Maura Delpero
GUARDA ORA

Newsletter

Iscriviti alla newsletter per tutti gli aggiornamenti: le nuove uscite, i film in arrivo, gli eventi, le anteprime esclusive e gli incontri in sala

Articoli più letti

©2025 LUCKY RED S.r.l. tutti i diritti riservati | Privacy Policy | Etica aziendale
Largo Italo Gemini, 1 00161 Roma T. 063759441 F. 0637352310 info@luckyred.it

Stiamo arrivando!

Iscriviti alla newsletter per tutti gli aggiornamenti: le nuove uscite, i film in arrivo, gli eventi, le anteprime esclusive e gli incontri in sala

Newsletter

Iscriviti alla newsletter per tutti gli aggiornamenti: le nuove uscite, i film in arrivo, gli eventi, le anteprime esclusive e gli incontri in sala